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Interviste

Marco Bellinazzo a UNC: “Milan, specchio della crisi: non ci si può affidare a sconosciuti come Yonghong Li”

Marco Bellinazzo, giornalista de “Il Sole 24 ore” ed esperto di finanza collegata al mondo del pallone, ai microfoni di Ultime Notizie Calcio parla del suo nuovo libro intitolato “La fine del calcio italiano” e di alcune questioni scottanti del nostro sport principe, dal Milan fuori dalle coppe alle occasioni per ripartire non sfruttate.

Lei ha intitolato il suo ultimo libro “La fine del calcio italiano”, un titolo inequivocabile per la situazione che sta vivendo il movimento. Siamo un paese di occasioni perse?

“Sicuramente, la storia del calcio italiano, ma del paese in generale è segnata da tutte queste occasioni gettate al vento. Vi erano delle condizioni per ottenere dei primati dal punto di vista calcistico, anche dell’industria del calcio, che sono state sciupate a causa dei soliti problemi del nostro paese”.

Italia ’90 in questo senso, è stata forse l’opportunità più grande?

“Direi di sì, il mio libro parte proprio dalle vicende di Italia ’90, nelle quali si aveva la possibilità di creare nuove strutture all’avanguardia che avrebbero aperto un nuovo ciclo. Invece per problemi di corruzione, interessi personali e intemperanze, sono stati costruiti degli stadi già vecchi prima di essere inaugurati. Strutture decisamente inadeguate per le possibilità che avevamo. Emblematico il fatto che appena due anni più tardi sia scoppiato nel nostro paese il caso Tangentopoli. Nonostante tutti questi eventi, si continuano a ripetere gli stessi errori nelle stesse modalità, basti vedere lo stadio della Roma, che dovrebbe essere il simbolo del nuovo corso, ma che prima di partire con i lavori già si è fermato per uno scandalo corruzione”.

Si può dire quindi che il calcio sia lo specchio della situazione del paese?

“Lo specchio ma anche il prodotto di ciò che si fa al paese, che di conseguenza ha risonanza anche nel mondo dell’industria calcistica. Un paese che non ha mai vissuto situazioni pacifiche dal punto di vista economico, ad esempio il crac Parmalat e il conseguente declino del Parma. E’ sempre mancata in Italia una classe manageriale con delle competenze adeguate per interpretare lo sport business e agire di conseguenza, invece no, siamo rimasti fermi ai primi anni ’90. Solo oggi qualche squadra si sta muovendo”.

A proposito di muoversi, come si può ripartire da questa crisi perenne?

“Proprio nella parte finale del libro propongo qualche via per far ripartire il nostro sistema calcio. Vi sono una serie di ipotesi di lavoro interessanti, i modelli da seguire potrebbero essere quelli statunitensi, con delle programmazioni a cinque anni. Ma comunque bisogna ripartire, proprio nelle scorse ore ho tweettato della situazione terrificante della Lega Pro, anno scorso col record di penalizzazioni, quest’anno con solo 10 squadre iscritte finora e molte con problemi finanziari. Come disse Tavecchio ad ottobre sull’apocalisse, ci siamo vicini, c’è bisogno di programmazione nel nostro sistema calcio per ripartire”.

Tornando alle questioni di campo, come commenta la sentenza della UEFA sul Milan?

“Il Milan è la testimonianza della situazione molto complicata che sta vivendo il calcio nostrano. Il secondo asset in Italia che viene sanzionato in maniera così dura dalla UEFA, anche andando oltre le sue competenze, come per mandare un segnale alla società. Resta il fatto che una squadra come il Milan non può affidarsi a degli sconosciuti nel mondo dell’economia, come Yonghong Li, perché dopo si perde di credibilità nei confronti della UEFA. Resta comunque la sentenza del TAS da ascoltare e analizzare”.

Tutta questa severità con il Milan. Allora come riescono squadre come il PSG a fare operazioni così onerose e a “passarla liscia”?

“Innanzitutto c’è da dire che il Paris Saint Germain ha un fatturato che è il doppio di quello della squadra rossonera. A parte questo, alcune operazioni che hanno creato scalpore come gli affari Neymar e Mbappè, graveranno sul bilancio dei parigini il prossimo anno, e sarà lì che si potrà vedere se la UEFA riserva un trattamento di favore ai francesi, che sono usciti da poco dal settlement agreement, oppure prenderà dei provvedimenti”.

A proposito di settlement agreement, nel suo blog lei ha parlato anche delle situazioni di Inter e Roma, giudicate positivamente dalla UEFA.

“Sì, la Roma è completamente uscita dal monitoraggio, potrà quindi permettersi 30 milioni di deficit nelle operazioni in 3 anni, se volesse dunque fare un mercato con meno entrate, potrebbe permetterselo. Ad esempio l’affare Nainggolan è stata più una scelta tecnica che un’operazione mossa da esigenze finanziarie. L’Inter ha invece fatto diversi ammortamenti, dati i molti acquisti delle recenti stagioni, quindi è stata valutata positivamente ma è vincolata per la lista UEFA delle convocazioni in Champions League”.

Parlando di club meno blasonati, anche la situazione in Serie B e il deferimento del Chievo non sono degli spot felicissimi per il nostro calcio.

“Questi sono tutti sintomi di un problema di sistema. Non si possono più risolvere le questioni singolarmente, c’è la necessità di cambiare rotta. Per questo credo che il titolo del mio libro sia molto attuale, e anche azzarderei preveggente di ciò che sta succedendo ora, siamo arrivati al capolinea, bisogna cambiare”.

Un altro problema è quello delle pay tv.

“Assolutamente sì, l’industria del calcio italiano ha perso e sta perdendo appeal e di conseguenza siamo stati superati anche dal campionato francese. Per non parlare della Spagna, che ci ha doppiato sotto quest’aspetto. Inoltre ci sono dei colossi come Amazon che si stanno avvicinando al calcio, ma che non hanno considerato minimamente il nostro campionato”.

Le poche sponsorizzazioni dei club, ad esempio la Roma solo da Aprile collabora con Qatar Airways, sono anch’esse un sintomo di un sistema che non funziona?

“Certo, il discorso torna all’origine, non c’è in Italia una visione del bene comune. Tutte le società, le aziende puntano al proprio profitto individuale senza avere visione d’insieme, e questo alla lunga danneggia tutto il sistema e l’industria, compresa la questione degli sponsor”.

Rassegna Stampa

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